ad Anna
| Si battono, l'un l'altra, alta, la
mano, palmo contro palmo, mutuando gesti yankee nel quotidiano, e rivestono le forme ancora gracili, lunghe, difendendo la squadra, unica corazza rimasta alla loro indentità. Si tendono i corpi a raggiungere la palla che vola con un tonfo ritmico, profondo, innalzata da braccia che vorrebbero ponderose, schiacciata da volti fanciulli che esprimono coi colpi una cadenza tetra alla palestra, e la rete diventa un ostacolo più grande delle divise verdi delle altre ragazze; l'urlo unisono fa levare venti di guerra calmati dal sorriso verso l'amico che guarda con estatica idolatria più il seno che sta crescendo che la tua lotta. Impara a perdere per poter vivere il calore tiepido del dopo, quando si slegan le scarpe e la doccia è un incubo che si scioglie nei racconti urlati della memoria e della cronaca. Io, padre, ti ho vista saltare in controluce con un gesto voluto di decisa eleganza e ho costruto così il monumento alla tua vittoria finale. |