a Dada
| E s'accende, sdrucita, sui
miei jeans sopravvissuti, e la mia pancia che straborda dall'età mancata, dimentica della crudeltà del mese che generava fertili ambiguità sui sogni, l'estate: maturo pachiderma lento della sua stolida calura. S'accende e grida, vociando ché si conosca la sua volgarità rigogliosa fiera delle pieghe di grasso che descrivono in volute arabeggianti più la mancanza d'idee che l'opulenza. Io appartengo al mio languore ed all'inedia, osservando con lo sguardo inutile del testimone sparire e morire il coraggio che ebbe quella grande paura, in cui l'orgoglio fu un gesto in divisa e il pensiero un codice per appartenere al gruppo esploso degli altri uguali. S'accende l'estate, e, come il sole, avvampa, riducendo a macchia in controluce i due giovani stupidi privati della morte e del desiderio. |