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LE FOCI DEL BOVA
Canto per un nuovo rito d'emergenza

 

a Paolo

  Sui detriti del Bova, fra l'intreccio di una brughiera
in cui vi siete ritrovati amici, giocando
al rischio di morire, traducendo l'avventura
in un gesto di ritualità semplificate dove i sentimenti
si schierano e le paure reali si alleano in sguardi solidali,
nelle notti di
Diano, quando lo spazio della parola
non è stato né lezione, né comando, né grido
ma il nuovo cordone ombelicale
preposto alla formazione del gruppo, quando il rischio
di vivere si è incarnato
in un gruppo di ragazze, polacche o milanesi non importa,
che vi hanno regalato il segno fisico
della libertà, avete scoperto il fuori.
Il segno sottile che lega ogni rito d'emergenza,
all'evidente oggetto del desiderio, e lo sublima
in un comportamento accettabile
dal contesto sociale, è un inganno gentile
che ci concediamo ogni volta
che abbiamo la voglia di sopravvivere a noi stessi,
e ci uccidiamo per riemergere diversi
e più confusi.
Come il mio personaggio che non m'appartiene
quando raggiungo la fine del verso,
anche tu stai volando,
senza permesso e senza incoraggiamento,
- ironico destino che vuole
fra
Brianza e Liguria giocare con la cronaca
per trasformarla in tragicomica farsa -
come tutti,
verso la definizione del tuo sole privato
che reputi più luminoso
soltanto perché ti si riflette addosso.