a Paolo
| Sui detriti del Bova, fra l'intreccio di una
brughiera in cui vi siete ritrovati amici, giocando al rischio di morire, traducendo l'avventura in un gesto di ritualità semplificate dove i sentimenti si schierano e le paure reali si alleano in sguardi solidali, nelle notti di Diano, quando lo spazio della parola non è stato né lezione, né comando, né grido ma il nuovo cordone ombelicale preposto alla formazione del gruppo, quando il rischio di vivere si è incarnato in un gruppo di ragazze, polacche o milanesi non importa, che vi hanno regalato il segno fisico della libertà, avete scoperto il fuori. Il segno sottile che lega ogni rito d'emergenza, all'evidente oggetto del desiderio, e lo sublima in un comportamento accettabile dal contesto sociale, è un inganno gentile che ci concediamo ogni volta che abbiamo la voglia di sopravvivere a noi stessi, e ci uccidiamo per riemergere diversi e più confusi. Come il mio personaggio che non m'appartiene quando raggiungo la fine del verso, anche tu stai volando, senza permesso e senza incoraggiamento, - ironico destino che vuole fra Brianza e Liguria giocare con la cronaca per trasformarla in tragicomica farsa - come tutti, verso la definizione del tuo sole privato che reputi più luminoso soltanto perché ti si riflette addosso. |