a mia madre
| La fiamma ossidrica sigilla memorie
ricorrenti, tumultuosi ricordi che gli astanti portano addosso, curiosi, primordiali presenze in silenzio. Frammenti di vita riaffiorano, insignificanti particolari ossessivi sembrano importanti, più vivi che mai. Tutto è sospeso, compreso il giudizio, ma senti che manca qualcosa, che sarà duro da tirare avanti. Manca il futuro e di questo t'accorgi all'improvviso, e il dolore, umano pretesto alla sopravvivenza, si fa prostrazione. Il tuo viso affilato appartiene al paese delle forme, come la tua eleganza immobile; ben altra era la tua, e più grande si spandeva nella stanza il tuo rifiuto dell'acrilico, altro il tuo volto reale, non cancellato dalla sovrapposizione della tua statuaria bocca spalancata in un urlo raggelato. Il cancro ha scavato nei muscoli, ha degradato la tua figura, ma dura la tua testimonianza esaltata dal martirio degli ossi, dal corpo presente che si sfuma, dall'illanguidito sguardo, e dalla voce che s'allontana e si risparmia in monosillabi soltanto, distillati di necessità, autentici grafiti del vero, pensiero di cui s'ignora l'origine. Dov'è la tua mente? Nel corpo rannichiato del Cristo di Cosmé, o invece nelle cose, nella gente che hai plasmato? Ho visto gli occhi, con rughe più evidenti, di noi, i creati, e poi, quelli più mansueti dei piccoli, cresciuti, discreti, magmatici, salutari: ci sei, nelle more del tempo, negli angoli degli iperspazi, nei gorghi che genera il pensiero, ci sei ancora, e il tuo grido, non richiesta d'aiuto come avevo creduto nella mia ingenuità, ma messaggio di appartenenza, desiderio di essere odiato per responsabilità d'amore, immenso pianto del non aver potuto portare a termine l'evento. Non mi pento, certo, della mia bestemmiata crisi di crescenza, ma non posso valutare la tua senza il rimpianto della vacuità. Ci siamo, papà!, indenne, ognuno è qua, a testimoniare, con la sua accomunata presenza, la tua, perenne. |