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"ITALA! ITALA!"
Eco di un grido che ha avuto ascolto

 

a mia madre

  La fiamma ossidrica sigilla memorie ricorrenti,
tumultuosi ricordi che gli astanti
portano addosso, curiosi, primordiali presenze
in silenzio. Frammenti di vita riaffiorano,
insignificanti particolari ossessivi
sembrano importanti, più vivi che mai. Tutto
è sospeso, compreso il giudizio, ma senti che manca
qualcosa, che sarà duro da tirare avanti.
Manca il futuro e di questo
t'accorgi all'improvviso, e il dolore, umano
pretesto alla sopravvivenza, si fa prostrazione.
Il tuo viso affilato appartiene
al paese delle forme, come la tua eleganza immobile;
ben altra era la tua, e più grande si spandeva
nella stanza il tuo rifiuto dell'acrilico, altro
il tuo volto reale, non cancellato
dalla sovrapposizione della tua statuaria
bocca spalancata in un urlo raggelato.
Il cancro ha scavato nei muscoli, ha degradato la tua
figura, ma dura la tua testimonianza esaltata
dal martirio degli ossi, dal corpo presente
che si sfuma, dall'illanguidito sguardo,
e dalla voce che s'allontana e si risparmia
in monosillabi soltanto, distillati di necessità,
autentici grafiti del vero, pensiero
di cui s'ignora l'origine. Dov'è la tua mente?
Nel corpo rannichiato del Cristo di Cosmé,
o invece nelle cose, nella gente che hai plasmato?
Ho visto gli occhi, con rughe più evidenti, di noi, i
creati,
e poi, quelli più mansueti dei piccoli, cresciuti,
discreti, magmatici, salutari: ci sei, nelle more
del tempo, negli angoli degli iperspazi, nei gorghi
che genera il pensiero, ci sei ancora, e il tuo grido,
non richiesta d'aiuto come avevo creduto
nella mia ingenuità, ma messaggio di appartenenza,
desiderio di essere odiato per responsabilità d'amore,
immenso pianto del non aver potuto
portare a termine l'evento. Non mi pento, certo,
della mia bestemmiata crisi di crescenza,
ma non posso valutare la tua senza il rimpianto
della vacuità. Ci siamo, papà!, indenne, ognuno
è qua, a testimoniare, con la sua
accomunata presenza, la tua, perenne.