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Brevi considerazioni sulla mia poesia

 

 

Di seguito riporto alcune personali considerazioni sulla poesia che penso possano essere utili alla lettura del volume. Si tratta di considerazioni non sistematiche ma riconducibili tutte ad un tentativo di definizione di estetica.

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A Roma, duemila anni fa, nacquero, quasi contemporaneamente, quattro grandi poeti, diversi fra loro, Virgilio, Orazio, Ovidio e Tibullo. Io preferisco il quinto, Properzio, che non viene mai conteggiato fra questi. Tutti questi erano poeti d'amore, ma a quel tempo la poesia d'amore era un genere: il poeta doveva amare una donna che doveva essergli infedele, altrimenti il castello crollava. Un codice, e ferreo per giunta. Properzio invece è fragile e Cinthia altrettanto e nel gioco si bruciano entrambi davvero. Credo che sia questa possibilità di verità all'interno di una costruzione convenzionale che rende grande una poesia. Per questo ho costruito su Properzio una poesia convenzionale: Sul corpo della donna amata.

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Mi sembra sempre importante ricordare che la poesia è un fatto culturale, quindi non naturale. Gli animali non scrivono poesie. Tutto quanto l'uomo ha costruito, grazie alla scienza, alla filosofia, alla poesia, lo ha fatto per cambiare la natura, contro di essa. Per creare un mondo artificiale. L'uomo deve la sua grandezza, o semplicemente la sua diversità, al fatto di essersi mosso, nella sua evoluzione, sempre contro natura, verso l'artificio. La parola arte d'altronde ha proprio questo etimo anche se diverso nelle varie culture. Nelle lingue neolatine prevale la componente dell'azione, del fare da ago, agisco; in quelle germaniche c'è la radice kennen, conoscere; in Kunst prevale la necessità della conoscenza, della cultura consapevole; in quelle slave il sentire: viest presenta una radice greca da oid - vid, vedere, percepire, sentire. Percezione, ragione ed esecuzione le tre componenti della poesia.

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Non credo che il dolore sia necessario alla poesia. Anzi spesso ottunde la sensibilità del poeta. Chi dice che Leopardi è stato poeta perché ha avuto una vita difficile e tormentata, pensi a Eliot, a Petrarca, a Joyce. Il nocciolo della poesia è estetico, non etico. Anzi credo che il poeta debba rimanere un osservatore delle cose, un partecipante certo, ma non un combattente. Solo i piccoli poeti sono barricaderi. Il poeta infatti diventa presto insofferente verso ogni ideologia, per quanto giusta possa sembrare la causa. I poeti, come anche le persone di buon senso, sanno che ogni giusta causa cela una trappola psicologica tremenda: credere di essere delle persone per bene, oneste, in quanto paladini di una causa nobile.
Non credo insomma che l'arte abbia bisogno dell'etica.

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Forse è necessaria una piccola storia della parola estetica: si tratta, nell'accezione che noi diamo, di una parola coniata da Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762), facendola derivare dal latino aesthetica a sua volta sostantivazione dell'aggettivo greco aisqhtiko, dal verbo aisqanomai - aisqanestai (percepire, sentire - essere in grado di percepire, sentire) con il significato di dottrina della conoscenza sensibile. Con questo significato arriva a Kant e si fonda nel concetto di Estetica trascendentale. Come si vede soltanto più tardi assumerà il significato di dottrina che studia il bello. Alla sua origine si pone come l'atto individuale del percepire con l'accento portato alla capacità della percezione.
Il suo contrario è la parola
etica: si tratta di un concetto che deriva dal greco
hqoV che significa costume, usanza. L'etica è la dottrina speculativa che studia il comportamento pratico dell'uomo teso al bene collettivo, usuale, tradizionale in quanto riconoscibile nel costume.
Etica ed estetica si contrappongono quindi. L'ultima è asociale, individuale, la prima è accumulativa, collettiva Ciò che è etico per sua natura non ha valenza estetica, o meglio:
ciò che è etico non ha valenza estetica per il fatto di essere etico. Vale anche il contrario. Non si attribuisca ad un oggetto con forte valenza estetica una funzione etica. L'arte, la poesia non sono state prodotte per migliorare l'uomo, ma per fargli provare delle sensazioni. Non si contrapponga estetica ad etica nel senso di contapposizione fra non razionale e razionale. Tutte due le componenti hanno una forte matrice sistematica, razionale. Kant fonda addirittura sull'estetica che trascende la conoscenza la possibilità della sintesi a priori. Le sensazioni prodotte sono naturalmente culturali, quindi non naturali, quindi artificiali, quindi con possibilità artistiche.
Uso le parole con una nettezza eccessiva non per stupire o provocare, ma per indurre ad una riflessione. Se la poesia verrà letta con questo atteggiamento potrà produrre una sensazione appagante.

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In tutte le società i lettori di poesia sono in percentuale risibile. Si attribuisce questo fatto ad una presunta difficoltà della poesia; fatto che può indubbiamente essere vero. Ma esistono anche poesie facili e non hanno un successo maggiore. Quello che avviene per la musica e per la prosa, cioè il successo di forme commerciabili, più semplici, non accade per la poesia, anzi alcuni successi popolari, di moda, quali Lorca o Prevert, si riferiscono a testi fortemente simbolici e complessi.
Sono necessarie due considerazioni: la prima si riferisce alla componente etica di un prodotto d'arte. Il romanzo ha cominciato ad avere successo nel momento in cui la riproducibilità tecnica tramite stampa, soprattutto nei paesi più avanzati ha reso possibile la sua diffusione. Si è sempre più popolarizzato producendo il concetto di best seller. Il libro ha perso una parte della sua componente estetica e ha avuto una funzione pratica, collettiva, cioè etica: è servito a dilettare, a far trascorrere il tempo, a coinvolgere in sentimenti non provati ma sognati, insomma a produrre omologazione. Ciò non significa che tutti i romanzi, tutta la narrativa sia diventata un fatto etico, significa soltanto che la componente etica della narrativa è stata, in alcuni prodotti sempre più diffusi, in evidente aumento.
La stessa cosa può dirsi per la musica. Con l'ottocento trova la sua possibilità di espressione nei teatri ed assolve ad una funzione spettacolare e collettiva; aggrega i gruppi, li fa divertire; successivamente quando la riproduzione del suono diventa tecnicamente possibile si diffonde tanto da spezzarsi in mille rivoli ognuno con funzione diversa. La sua matrice etica viene portata all'esasperazione e la musica diventa da ballo, da sottofondo, da concerto, d'intrattenimento, di richiamo.
In un sistema così strumentale è evidente che la componente estetica può diventare minoritaria.
La poesia, priva di una protezione etica, non trova nemmeno il piccolo spazio che ha trovato l'arte figurativa che orna gli appartamenti; anzi viene trasfigurata dalla cultura ufficiale che vuole attribuirgli un senso etico. Così viene presentata a scuola ove se ne studia la traccia collettiva guardandosi bene dal farla produrre. La poesia è l'unica materia su cui si costruisce il valore della civiltà e che non viene insegnata.
Allora è vero che la poesia non viene letta perché difficile?
Non è più difficile uno slogan pubblicitario.
La pubblicità ha inventato negli ultimi anni slogan, frasi, immagini, di un altissimo valore estetico, anche se fortemente connotati da simboli i messaggi pubblicitari sono stati capiti sostanzialmente da tutti. La loro motivazione ad esistere era ovviamente etica: devono far vendere un prodotto, ma il pubblico non s'è tirato indietro. Laureati e analfabeti di ritorno, impiegati informatici e contadini isolani hanno tutti accettato le metafore ardite del messaggio globale.
La poesia è rimasta un gioco per chi decide autonomamente di parteciparvi, come l'enigmistica, il baseball, o il bridge.

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Non avendo notazione etica la poesia non prevede la continuità, e nemmeno la contestualità. Sovraesiste alla frammentazione.
Questo vale per la poesia tutta, non necessariamente per la buona poesia che, dal punto di vista strutturale non viene distinta.
Buona lettura